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In Dal loggione (1979) lo spettatore di una rappresentazione teatrale, probabilmente un'opera lirica, narra, dalla galleria, del suo amore per una donna che osserva in basso, in compagnia del marito. Il ritornello del pezzo è carico di pathos—ma anche della tipica autoironia contiana —sfociando nell'abbandonarsi dell'amante a una declamazione del sublime potere della musica "che va fin dentro l'anima" della donna amata. Nello stesso istante esso diventa una struggente colonna sonora dei suoi sentimenti e una sorta di sollievo catartico alla sua angoscia. "E allora viva la musica che ti va/ fin dentro all'anima, che ti va/ penso di credere che finirò/ sempre di vivere di te…/para-punzi-punzi-pun, para punzi para-para-punzi-pun".

Ancora una volta vediamo l'approccio fantasioso dell'artista (benché qui occorra tener conto anche del contributo dell'arrangiatore Fabi). La complessità dell'effetto è ottenuta con grande originalità mediante una voce di tenore operistico che fornisce inaspettatamente le connotazioni solenni dell'opera lirica e allo stesso tempo pare associare momentaneamente il protagonista a uno dei ruoli della rappresentazione che avviene sul palco. La solennità della situazione viene poi infranta e ironicamente derisa dal "para-punzi-punzi-pun" conclusivo.
L'arrangiamento stesso aggiunge dunque qualcosa in più al significato della composizione originale, mettendone in risalto tutte le implicazioni nascoste: al "primo livello" del dramma dei personaggi della canzone, si somma così il secondo della performance e quindi il terzo dell'universale dramma umano.

Sia nella concezione originale di un brano, sia nelle sue successive rielaborazioni, il compositore va alla ricerca all'interno di specifici e ben consolidati generi e stereotipi musicali (vengano dal jazz, dalla musica da film, dall'opera lirica—come vediamo qui—ma anche dalla musica latino-americana e dalla tradizione europea), qualunque cosa gli piaccia, incorporandone i significati già acquisiti nel risultato finale

2.4 "Gusto cinematico"

Una delle conseguenze di questo modo di fare, è quel particolare sapore stilizzato e stereotipato che dà a molte sue canzoni ciò che egli giustamente chiama un "gusto cinematico", nel senso che la musica si compiace di una certa teatralità, voluta, qualunque sia lo spunto, per i suoi effetti scenici. Non a caso, la musica da film ama spaziare tra differenti generi per prendere da essi ciò che meglio si adatta ai propri scopi. In una breve intervista egli ha accennato a tale aspetto nel proprio lavoro:

"...E un gusto cinematico che ho, mi piace andare un po' indietro, cercare un po' il gusto di questo secolo, dov'era più forte, ecco perché do questo sapore, è un discorso sul tempo sugli stili di questo secolo"

 

 

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