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Invitato a commentare il rapporto tra parole e musica
nella sua arte, Conte risponde di attribuire il ruolo più importante,
quello di "regista"come egli stesso dicealla musica, assegnando
invece ai testi la funzione complementare di alludere e suggerire contesti
e direzioni possibili. Non lo si potrà sempre evincere dal risultato finale
in cui, prescindendo dalla naturale prevalenza della linea vocale, le
due parti appaiono abilmente intrecciate, quasi fossero necessari l'uno
all'altro, ma aldilà della ben nota appropriatezza ed espressività dei
testi, è la musica la vera causa motrice del tutto.
Conte non solo proviene da una formazione jazzistica, nella quale ha praticato
quasi esclusivamente forme strumentali, ma ha anche trascorso una buona
parte della sua prima carriera di autore dedicandosi a fornire musiche
per opere collettive, per solo poi ritrovarsi a scrivere abitualmente
i propri testi, spinto dalla necessità di una migliore corrispondenza
con ciò che le sue musiche erano in grado di comunicare. In seguito continuò
ad esplorare la composizione puramente strumentale con partiture per il
cinema o per produzioni teatrali, riutilizzando, tagliando e rielaborando
i vari motivi a seconda delle necessità dei differenti contesti e corredandolio
privandoliliberamente di testi.
Di fatto questa centralità della musica è in qualche misura evidente nel
fatto che i testi stessi sono impregnati di qualità fortemente musicali.
Dallo "za-za-ra-zzaz" di Bartali (1979) al "bababibedadibamba"
di Danson Metropoli (1995) o quel "du-du-du-du" della famosa Via
con me (1981), tutti ben riconoscono le sue caratteristiche mini-escursioni
nello skat. Alle volte questi fonemi hanno una esplicita funzione onomatopeica,
come in "grut-grut-grut, pot-pot-pot, cling-cling-cling: è un traffico
africano" da Ratafià (1987) o "Ma i tuoi piedi: tap-tap-ta-ta-tap"
in Happy feet (1990).
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